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Vita, morte e miracoli dei santi legati alla storia di Firenze e delle opere d’ arte a loro dedicate

L’inventore della “Via Crucis” e la “solitudine dell’Incontro”

Inventore è dire troppo, ed è anche parola non perfettamente calzante quando si parla di un rituale liturgico come la “Via Crucis”. Tuttavia rende bene l’idea del ruolo svolto da San Leonardo da Porto Maurizio, il santo ligure che notevoli tracce del suo passaggio e della sua opera ha lasciato nei dintorni di Firenze.

A lui si deve infatti, se non propriamente “l’invenzione” della Via Crucis, quantomeno l‘ideazione del moderno concetto di Via Crucis e la propagazione di questa pratica devozionale fra i fedeli, oltre che la collocazione personale di almeno un centinaio di questi cicli religiosi.

Come è facile immaginare, forme di devozione che ripercorrevano le tappe della Passione di Gesù sono molto più antiche rispetto all’opera di San Leonardo, che vive e predica a cavallo fra Seicento e Settecento (1676-1751): in effetti il concetto di Via Crucis nasce nell’ambiente che ruota attorno a San Francesco d’Assisi, o comunque ai primi francescani, ovvero nella prima  metà del Duecento.

Inizialmente tuttavia, si tratta di qualcosa di molto più impegnativo: la Via Crucis originale infatti, consisteva nel pregare e meditare ripercorrendo le vere tappe che il Cristo aveva percorso durante la Passione. In altre parole, “fare la Via Crucis” significava in origine fare “quella vera”, cioè recarsi in Palestina e ripercorrere i passi delle ultime ore della vita di Gesù: una forma di devozione di particolare impegno e sacrificio, paragonabile a quella che ancora oggi compiono i musulmani recandosi in pellegrinaggio (Hajj) alla Mecca per ripercorrere e “rivivere” gli eventi salienti dell’Islam.

Pratica di raccoglimento sul sacrificio del Cristo, ma allo stesso tempo momento di edificazione dottrinale e di forte coinvolgimento emotivo per il popolino, la Via Crucis come oggi la conosciamo viene diffusa in Europa dai Minori Francescani, proprio in quanto custodi dei Luoghi Santi in Palestina, e rappresenta la soluzione all’enorme problema, sia in termini logistici che economici, di dover andare in Palestina. Cosa che ancora oggi, con i trasporti moderni, risulta estremamente impegnativa oltre che piuttosto pericolosa (figurarsi all’epoca).

San Leonardo dunque, da buon minorita, non fa che riprendere una antica e radicata tradizione del suo Ordine religioso e predicarne la devozione nelle contrade in cui si reca: la sua predicazione in favore della pratica della Via Crucis ottiene un tale successo (grazie alle eccellenti doti oratorie di Leonardo), che il pontefice Benedetto XIV, nel 1741, dovette imporre il limite massimo di una Via Crucis per parrocchia, allo scopo di evitare la diffusione incontrollata di questo rito devozionale.

La figura di san Leonardo, che come accennato, è rimasta famosa nella storia per la sua notevole capacità di oratore e per il suo impegno nella diffusione della Via Crucis, è legata a doppio filo a Firenze e alla Toscana: nella nostra regione, infatti, il santo esplicò buona parte della sua missione religiosa, con particolare riferimento alle zone di Lucca e Pistoia, dove svolge il proprio apostolato negli anni 1743-44, prima di passare dalla Toscana in Corsica.

Convento di San Francesco all'Incontro

Vista aerea del convento di San Francesco sul poggio dell’Incontro

Il monumento che più di ogni altro lega la figura di questo Santo alla Toscana è però a Firenze: si tratta del convento di San Francesco all’Incontro, che si trova attualmente nel Comune di Bagno a Ripoli, a pochi kilometri dalla città gigliata.

Il pre-esistente edificio (la chiesetta e la torre di epoca longobarda), dedicato a San Macario, viene donato a Leonardo dal Granduca Cosimo III de’ Medici. Il predicatore minorita ne prese possesso il 25 marzo 1716, onde fondarvi un ospizio francescano. L’edificio fatto erigere da San Leonardo era estremamente spartano, con cellette minuscole e non intonacate. I lavori si concludevano il maggio del 1717 grazie all’aiuto dei benefattori.

La facciata della chiesa del convento di San Francesco all'Incontro

La facciata della chiesa del convento di San Francesco all’Incontro

Come risulta dalle sue lettere, San Leonardo chiamava questo convento una “solitudine”, in virtù della sua posizione isolata sulla collina dell’Incontro, sulla riva sinistra dell’Arno, fuori da qualsiasi centro abitato: il santo amava particolarmente questi dintorni, dove poteva dedicarsi interamente alla sua missione grazie all’assenza di distrazioni e tentazioni. Purtroppo, la “solitudine dell’Incontro” è oggi la ricostruzione novecentesca dell’edificio francescano, a seguito della completa distruzione derivante dai bombardamenti subiti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Villa e giardino di San Leonardo in Palco

La villa e il giardino del Palco, a Prato: è da sempre conosciuta come “San Leonardo in Palco” per il soggiorno nella villa del grande predicatore

La memoria di San Leonardo da Porto Maurizio è presente nei dintorni di Firenze anche grazie al suo soggiorno nei pressi di Prato, sul poggio della Retaia, presso la monumentale villa del Palco in riva al Bisenzio. La grandiosa residenza, costruita per volere del ricchissimo mercante Francesco Datini, e concessa poi all’Ordine Francescano che la trasformerà in in convento nella seconda metà del Quattrocento, è conosciuta da sempre come “Villa di San Leonardo in Palco” proprio per il soggiorno del grande predicatore in questo luogo.

Il triplo busto di Sant’Antonino arcivescovo

Busto di Sant'Antonino presso l'Oratorio di San Martino dei Buonomini

Busto di Sant’Antonino arcivescovo conservato presso l’Oratorio di San Martino dei Buonomini

A Firenze c’è una preziosa opera d’arte, di grande pregio sia per la sua particolarità che per il legame con una delle figure più amate e venerate in città, quella di Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze a cavallo della metà del Quattrocento e santo.

Si tratta del busto che rappresenta le fattezze del santo frate domenicano, sul modello delle maschere funerarie di epoca romana, di cui esistono ben tre copie, a riprova del grande affetto dei fiorentini verso il loro arcivescovo.

Il primo, ovvero l’originale, si trova nell’apposita nicchia ricavata sull’altare maggiore del minuscolo Oratorio di San Martino dei Buonomini: la presenza del prezioso calco funerario, che ci restituisce in originale i lineamenti del grande santo fiorentino, è dovuta alla riconoscenza verso l’Arcivescovo che fu fondatore, promotore e protettore dell’opera dei Buonomini di San Martino a favore di quelli che all’epoca venivano detti “poveri verghognosi“.

Busto di Sant'Antonino a San Domenico di Fiesole

Busto di Sant’Antonino conservato presso il convento di San Domenico di Fiesole, copia di quello ai Buonomini.

Il busto, risalente al periodo a cavallo del 1500, è attribuito nientemeno che al Verrocchio ed è fatto di terracotta policroma.
Curiosità nella curiosità, la base che regge il busto del santo nel tabernacolo delle reliquie contiene una preziosa lettera autografa, e dunque in originale, indirizzata dall’arcivescovo Antonino a Maestro Domenico da Firenze.

Del busto di Sant’Antonino esiste però una copia perfetta (fatta eccezione per l’aureola dorata aggiunta) che si trova nel convento di San Domenico di Fiesole, quale luogo in cui il frate domenicano dimorò prima della sua ascesa alla cattedra della diocesi gigliata.

Busto di Sant'Antonino presso San Marco

Busto di Sant’Antonino presso il convento di San Marco

Ho parlato però di un busto triplo. Questo perchè, oltre ai due identici di San Domenico e San Martino dei Buonomini, ne esiste un altro ancora, che differisce però dai precedenti. Si trova, inutile dirlo, presso il Convento, anch’esso domenicano, di San Marco, presso il quale riposano, all’interno della Cappella Salviati, le sue spoglie mortali, venerate come reliquie.
Il busto di San Marco differisce dagli altri due sia per il piccolo piedistallo, che reca la dicitura “Hic dedit regulam” che per il pettorale cerimoniale che raffigura un “Compianto sul Cristo morto”, mentre pressochè identici sono i lineamenti emaciati del volto, che ne esprimono perfettamente la rigida temperanza.

Andrea e Neri: i due santi vescovi della famiglia Corsini

Sant'Andrea Corsini vescovo di Fiesole

Sant’Andrea Corsini: nel dipinto è raffigurato con il pastorale, la mitria e i paramenti che lo contraddistinguono quale vescovo di Fiesole, diocesi che resse per ventiquattro anni

La storica casata fiorentina degli attuali principi Corsini ha dato alla città di Firenze numerose personalità degne di menzione. In particolare, oggi parliamo di due membri della dinastia passati alla storia per la loro santa vita: Sant’Andrea Corsini ed il Beato Neri Corsini.

Raro è trovare una stirpe che, al pari dei Corsini, abbia dato all’umanità un così importante contributo di religiosi che, per la loro opera di carità durata una vita, sono assurti agli onori degli altari. Questo poi, è un caso addirittura unico nella storia di Firenze perchè Andrea e Neri erano fratelli: non uno, quindi, ma addirittura due sant’uomini nella stessa famiglia.

A questo si deve aggiungere un’altra notizia curiosa: i due religiosi, entrambi celebrati dalla Chiesa ed entrambi della famiglia Corsini, furono associati anche nella carica ricoperta in vita. Ad Andrea Corsini, vescovo di Fiesole, successe infatti, sulla cattedra della medesima diocesi, proprio il fratello Neri. Viene quasi da dire che Neri seguì fedelmente, nella virtù e nella dedizione alla missione pastorale, le orme del fratello.

In virtù della primazia, quantomeno cronologica, di Andrea nella carica di vescovo, viene da pensare che questi fosse il fratello maggiore; tuttavia, e anche questo risulta piuttosto sorprendente, non si trova in Rete la data di nascita del Beato Neri, ragion per cui non posso dire quale dei due sia stato il fratello minore e quale il maggiore. Non dubito in proposito che i lettori se ne faranno una ragione.

Quello che è meglio della vicenda, è che i due santi religiosi fiorentini ci danno la possibilità di citare due straordinari monumenti della città: la Cappella Corsini di Santa Maria del Carmine (in cui si trova la tomba del santo Andrea) e la omonima Cappella annessa al complesso di Santo Spirito (in cui si trova il sepolcro del beato Neri).

Viene da chiedersi perchè i due pii fratelli non siano stati sepolti in una stessa collocazione: in effetti, spirarono a pochi anni di distanza (Andrea nel 1374 e Neri nel 1377); la straordinaria affinità spirituale avrebbe consigliato di inumarli in un medesimo sepolcro di famiglia. Ma non fu così. Mentre infatti Neri fu effettivamente sepolto nella cappella dei Corsini, eretta nel 1325 presso il convento di Santo Spirito, il santo Andrea, in quanto membro dell’Ordine Carmelitano, aveva disposto di essere tumulato presso il monastero della sua “famiglia religiosa”, cioè appunto Santa Maria del Carmine, dove ancora oggi riposa nella cappella appositamente eretta in suo onore dai suoi discendenti.

San Firenze e la rapa

San Firenze è il nome di una piazzetta di Firenze curiosa già nella forma: stretta e lunga. Il nome mi incuriosì sin da principio, quando passai per la prima volta da questa piazzetta a due passi da Piazza della Signoria: in effetti, sembrerebbe che la città stessa sia elevata alla santità.

L’ equivoco è in realtà facilmente spiegabile: San Firenze altro non è che la storpiatura “campanilisitica” che i fiorentini hanno fatto di San Fiorenzo, a cui era dedicata in passato la maestosa chiesa in stile barocco che occupa buona parte del lato est della piazza.

Quello che in antico fu il monastero di San Fiorenzo è uno degli edifici più singolari di tutta Firenze: si tratta infatti di una chiesa soltanto in apparenza, visto che all’ interno ha sede il Tribunale di Firenze (fino al definitivo trasloco presso il nuovo Palagiustizia di Novoli).

Come ogni santo che si rispetti, anche San Fiorenzo viene solitamente raffigurato con i simboli iconografici suoi propri: come Santa Caterina ha la ruota dentata e Santa Lucia ha un piattino con due occhi, San Fiorenzo viene rappresentato con una rapa in mano. In questo caso però, il simbolo associato al santo non rimanda, come nel caso delle martiri suddette, alle modalità del loro martirio, ma più semplicemente ad un fatto curioso: la festa di San Fiorenzo cade il 3o dicembre, ossia la vigilia dell’ ultimo dell’ anno. E’ in questo periodo particolarmente magro per l’ orto che si raccolgono le rape, ed ecco il motivo della inconsueta associazione. Le rape sono l’ ultimo frutto invernale dell’ orto.

Ma le curiosità legate alla chiesa-tribunale di San Fiorenzo non finiscono qui: merita ricordare almeno che precise evidenze archeologiche mostrano come, sul sito della chiesa, sorgeva in epoca romana un importante tempio dedicato ad Iside.

I SETTE SANTI DEL MONTE ASINARIO

La vicenda della fondazione dell’ eremo di Monte Senario coniuga storia e leggenda: a cominciare dalla tradizione che attribuisce alla stessa Vergine Maria l’ apparizione con la quale ai sette mistici fiorentini di porsi al suo servizio, con la fondazione di quello che sarà in seguito l’ Ordine dei Servi della Santissima Annunziata.

La prima curiosità riguarda appunto questa miracolosa apparizione: si narra infatti che la Vergine fosse apparsa contemporaneamente ai sette che diventarono poi i sette eremiti del Monte Senario.

Fra questi, stava anche il beato Filippo Benizzi, quello stesso Filippo che, per timore di essere eletto Papa dal conclave di Viterbo fece perdere le tracce di sè fuggendo nel romitorio della Valdorcia in una località che, proprio dal suo nome e dalla presenza dei bagni termali si chiama ancora oggi Bagni di San Filippo.

In secondo luogo, una parola merita senz’ altro il bizzarro nome che sembra avere a che fare con un qualche asino. Il Monte, successivamente appellato Senario, è nominato Asinario per la prima volta, a quanto risulta, dal Boccaccio, nel proemio della 4° giornata del Decameron. Una delle ipotesi più suggestive suggerite sulla genesi di questo curioso toponimo “equino”, è quella che fa derivare la parola “Asinario” da “eis” o “eiser”, parole che in lingua etrusca valgono “dio” e “dei”. Da eiser deriverebbe Asinario, cosicchè Monte Asinario equivarrebbe a qualcosa come “Monte degli Dei”.

Sul monte Senario sorgeva un castello, già diruto nel XII secolo allorchè fu donato, assieme alla selva circostante, al vescovo fiorentino Ardingo II, che, verso il 1240 ne fece regalo ai Sette fondatori dell’ ordine dei Servi di Maria.

Chi lo visita può ammirare ancora oggi, ai piedi del piccolo massiccio sul quale si eleva il convento, le sette grotticine, piccole come nicchie, all’ interno delle quali ciascun eremita viveva in preghiera ed in contemplazione, forte solo della coscienza di avere vicino Dio e sei amorevoli confratelli spirituali.

La visita delle sette grotte, con la recita delle prescritte orazioni procura a tutt’ oggi l’ indulgenza specificata su una lapide posta all’ interno delle cavità. Anche se, per vero, la gente va al Monte Senario non tanto per impetrare indulgenze, ma per passare un bel pomeriggio alla’ aperto. Il convento possiede infatti una terrazza che spazia su tre lati sulla circostante vallata: tutto il basso Mugello si stende ai piedi del Monte offrendosi allo sguardo e alle macchine fotografiche dei tanti che arrivano per la scampagnata delle domenica.

E’ possibile arrivare con la macchina fino ai piedi delle scale del convento ma la possibilità più suggestiva, quella che io personalmente ho preferito, è quella di lasciare la macchina ai piedi della salita asfaltata che corre in un tratto di foresta profondissimo. E’ il punto da cui, passando in mezzo a sempreverdi secolari, un sentiero battuto corre parallelo alla strada asfaltata, scandito dalle stazioni, costruite in legno, della Via Crucis. Trovo francamente che sia più adeguato a predisporre il visitatore allo stato d’ animo più consono per la visita ad un posto di bellezza mistica come il Monte Senario.

Il Monte Senario è stato protagonista di uno dei più belli progetti dell’ architetto e scultore Niccolò Pericoli detto “il Tribolo”.

Per concludere, un’ ultima curiosità: i Sette Santi, fondatori dell’ Ordine dei Servi di Maria, danno il nome ad una delle vie di Firenze, nella zona di Campo di Marte. Si tratta di una delle traverse dello stradone (viale Paoli) che va verso lo stadio. Sull’ angolo sorge l’ omonima chiesetta ottocentesca in stile neo-gotico.

IL SANTO ANDO’ ALLE TERME PER NON DIVENTAR PAPA

Nel quinto canto dell’ Inferno, la Commedia di Dante ci mostra “colui che per fe’ per viltade il gran rifiuto” tra gli ignavi: si riferisce con molta probabilità a Pietro da Morrone fatto papa come Celestino V, che abdicò dopo pochi mesi di pontificato. Il santo Filippo Benizi, di cui parliamo oggi fece ancora meglio: avendo saputo che stava per essere eletto papa dal Concilio di Viterbo, egli, a causa della sua grandissima umiltà, fece perdere le tracce di sè recandosi in uno sperduto eremitaggio della Valdorcia. Il luogo, che da lui prese il nome è oggi una rinomata stazione termale, Bagni San Filippo. E non solo gli diede il nome, ma la leggenda gli attribuì anche il miracoloso sgorgare delle acque sulfuree, sebbene queste fossero note ed apprezzate sin dall’ epoca romana.

La vita del santo fiorentino è ricca di aneddoti e curiosità, ma è legata principalmente a due luoghi: il primo è il romitorio-cappella in cui il santo si nascose nel 1267 per sfuggire l’ elevazione al soglio pontificio. Si tratta di una grotta naturale adattata in forma di eremo. L’ altro edificio è il monastero dei Servi della Santissima Annunziata di Monte Senario, poco sopra Vaglia: all’ epoca della sua fuga presso gli attuali Bagni San Filippo, il religioso fiorentino era già Priore dell’ ordine dei Padri Serviti, una delle cui sedi è la celeberrima Basilica della Santissima Annunziata posta nella piazza omonima.

Ma le curiosità non finiscono qui: la vita di Filippo comincia sotto gli auspici più significativi della suo successivo percorso religioso: secondo la tradizione, infatti, Filippo sarebbe nato nello stesso giorno in cui i Sette Santi fondatori della comunità di Monte Senario ricevevano dalla Madonna la missione di costituire la fraternità servita. Da ricordare anche il fatto che, prima di scoprire la sua vera vocazione, Filippo esercitò la professione di medico, per studiare la quale fu addirittura fatto viaggiare a Parigi e successivamente all’ Università di Padova.

COSA C’ ENTRA L’ ISTITUTO STENSEN CON I GESUITI?

La storia del beato Stenone è quanto di più curioso ci possa essere. La storia della sua vita assomiglia molto più ad un romanzo che ad una agiografia, ed ha come centro la città di Firenze. Eppure la cosa più curiosa è che oggi il suo nome a Firenze significa per antonomasia cinema d’ essai. Cosa c’ entra un’ Istituto che organizza convegni e cineforum con l’ Ordine dei Gesuiti?. Qui trovate la risposta.

Ma partiamo dall’ inizio di questa storia a ritroso: a Firenze esiste un famoso centro culturale, i cui studi sono imperniati prevalentemente sul cinema e sui rapporti inter-religiosi. L’ istituto Stensen è a Firenze una vera e propria istituzione quando si parla di associazioni culturali. Il principale elemento di notorietà gli deriva dai convegni e dai cineforum organizzati, che ospitano annualmente importanti personalità del mondo politico, economico e culturale: non ultimo, nel 2011, il convegno che ha visto protagonista l’ allora governatore della Banca d’ Italia Mario Draghi. La prima scoperta curiosa è stato per me la derivazione dell’ istituto, per filiazione, diretta, dal locale ordine dei Gesuiti. Ho scoperto solo successivamente che il complesso conventuale presente nello stesso isolato dell’ Istituto Stensen è in effetti la sede dei Gesuiti di Firenze.

Mi chiedevo però cosa potesse avere a che fare il celebre Istituto che organizza convegni e mostre cinematografiche con un ordine religioso della Chiesa. La risposta mi è venuta casualmente parlando con il direttore dell’ Istituto, padre Ennio Brovedani: a dispetto della mia ignoranza, Stensen, o Stenone, è un beato della Chiesa Cattolica, che nel corso della sua vita si fece gesuita: niente di più naturale allora se l’ associazione dei gesuiti era intitolata a Stensen! Eppure dovevo scoprire che le curiosità legate al nome di Stensen non finivano qui. Stenone, nome latinizzato del celebre scienziato danese Stensen, fu fisiologo rinomato per i suoi studi sull’ anatomia del corpo umano: il suo nome è rimasto impresso nella scienza medica grazie ai cosiddetti “dotti di Stenone“, alloggiati all’ interno dell’ orecchio.

Ma non è finita qui: la serie di curiosità inanellate da questo santo è sterminata: prima di convertirsi al cattolicesimo fu infatti luterano. Accolto nel seno della Chiesa cattolica si fa ordinare sacerdote a Firenze, quindi diviene addirittura vescovo. Il motivo principale per intitolare al beato Stenone l’ associazione fiorentina che si occupa del dialogo inter-culturale dei gesuiti è il suo apostolato nella sua terra natìa, completamente luterana, dove pure conquistò il rispetto anche delle genti protestanti. Oggi il suo corpo riposa nella Basilica di San Lorenzo, in questa città di Firenze che egli sentì come propria patria verace.

SAN ZANOBI E IL MIRACOLO DELL’ OLMO RISANATO

Il visitatore che passando in piazza del Duomo aggiri il Battistero sul lato che guarda verso via Cavour, nota una colonna marmorea sormontata da una croce, eretta su un piccolo basamento di tre scalini. Nonostante il suo aspetto dimesso, la colonna cela una delle più pregnanti tradizioni fiorentine, quella legata al culto del Santo vescovo Zanobi.
La colonna di San Zanobi, infatti, è eretta nel punto esatto in cui la salma del vescovo fiorentino operò, secondo la tradizione, uno dei suoi più famosi miracoli.

L’ avvenimento, secondo quanto riportato dalla tradizione, avvenne in occasione della traslazione delle spoglie del vescovo Zanobi, morto in odore di santità, dalla Basilica di San Lorenzo, dove si trovavano originariamente, alla cattedrale di Santa Reparata. In tale occasione, la leggenda vuole che la salma del Santo Zanobi avesse sfiorato un enorme albero di olmo ormai disseccato, che cominciò a rifiorire.
In considerazione della sua miracolosa rinascita, sembra che il tronco dell’ albero sia stato successivamente utilizzato per scolpire un crocifisso ligneo oggi conservato nella chiesa di San Giovannino dei Cavalieri in via San Gallo. Secondo alcuni studiosi, invece, fu utilizzato per un dipinto del Maestro del Bigallo che raffigura le gesta del Santo.
Esattamente nel luogo in cui si sorgeva il famoso olmo del miracolo, fu eretta una colonna commemorativa che ancora oggi possiamo ammirare.

In realtà, la colonna che noi oggi possiamo osservare è una copia che sostituisce l’ originale, col fusto in granito, travolta dall’ onda di piena nel corso della catastrofica alluvione del 1333.
La colonna originaria aveva sulla sommità una statua di San Zanobi che si diceva ricavata dal legno di quello stesso olmo che la sua salma aveva miracolato.
Nel 1334, anno successivo all’ alluvione, la colonna fu sostituita da una identica, che però aveva sulla sommità una croce. Nel 1375, inoltre, fu aggiunta sul fusto un’ iscrizione che ricorda la leggenda legata a San Zanobi.
La data in cui il miracolo avvenne è anch’ essa controversa: sulla base della testimonianza del vescovo dell’ epoca, Andrea, la traslazione del Santo ed il relativo miracolo avvenne il 26 gennaio del 429. Secondo gli studiosi più recenti, invece, il miracolo della traslazione avvenne quattro secoli più tardi, nel IX secolo d.C..
Molte sono le opere d’ arte ed i monumenti legati alla vita ed ai miracoli di San Zenobi. Fra questi, merita ricordare le quattro tele dipinte dal Botticelli: Battesimo ed elezione a vescovo di San Zanobi, Ultimo miracolo e morte di San Zenobi, ed infine le due versioni che rappresentano tre miracoli del Santo, ossia quella esposta alla National Gallery di Londra, e quella conservata al Metropolitan Museum di New York.
La colonna di San Zanobi non è peraltro l’ unica colonna commemorativa di Firenze: molto conosciute sono anche la colonna del Trebbio, nei pressi di Santa Maria Novella, la colonna di Santa Felicita, nella omonima piazzetta, la colonna dell’ Abbondanza in piazza del Repubblica, la colonna della Giustizia in piazza Santa Trinita.

DOPO MARTE UN NUOVO PATRONO: SAN GIOVANNI BATTISTA

Fra le numerose curiosità riservate al visitatore dal Battistero di San Giovanni, c’ è quella legata alla sua misteriosa origine.
Il Battistero di Firenze, intitolato a San Giovanni Battista, patrono della città, sembra aver preso il posto di un precedente tempio romano che sorgeva sul posto. Secondo la tradizione quindi, così come il Battistero sorse sulle rovine di un tempio dedicato a Marte, così anche San Giovanni scalzò il dio della guerra romano dal ruolo di patrono della città.

La credenza medioevale che supponeva il Battistero costruito sulle fondamenta di un precedente tempio dedicato a Marte, risultò in parte confermata dal ritrovamento di resti di costruzioni romane sotto l’ area di San Giovanni, oltre ad alcuni sarcofaghi oggi conservati nel Museo dell’ Opera del Duomo, ed alla famosa statua di Marte che secondo le cronache medioevali era posto fino all’ alluvione del 1333 nei pressi del Ponte Vecchio.
L’ ipotesi più probabile sulla base degli scavi del XX secolo è che l’ area del Battistero fosse in realtà occupata da una domus romana di cui sono stati ritrovate parti di pavimentazione ornate di mosaici a motivi geometrici.

Le prime fonti dirette dell’ esistenza del Battistero risalgono al 4 marzo 897, dove si narra che il conte palatino Amedeo sedeva ad amministrare la giustizia sotto un portico di fronte “alla Basilica di San Giovanni”: il Battistero fu infatti Cattedrale di Firenze fino al 1059, anno in cui Niccolò II, pontefice fiorentino, riconsacrava come cattedrale la Basilica di Santa Reparata.
E’ legato all’ edificio di San Giovanni ed alla sua funzione di Battistero un episodio curioso narrato da Dante Alighieri nella Commedia: egli ci narra, nella Cantica XIX dell’ Inferno, che ancora ai suoi tempi esistevano nel Battistero i fonti battesimali medioevali, costruiti nel marmo in forma di cilindri in cui avveniva il lavacro battesimale. Un giorno, vedendo un fanciullo che stava per affogare in uno di questi fonti, egli si gettò in suo soccorso e, nonostante fosse riuscito a salvare il bambino, ruppe nella foga uno degli orli del fonte battesimale, che rimase monco fino alla fine del ‘500. Nel 1576, i fonti battesimali medioevali furono distrutti per far posto a quello costruito da Bernardo Buontalenti in vista del battesimo dell’ erede maschio del Granduca Francesco I.

IL SANTO FATTO CITTA’