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Le barelle al posto delle gerle: l’ambulanza nella Firenze del ‘300

Il delizioso Oratorio dei Santi Filippo e Giacomo, che si trova all’angolo fra via della Scala e via del Porcellana, viene anche detto Oratorio “dei Barelloni”. Sembra che questa dicitura derivasse dalle attività caritative dell’annesso Ospedale dei Michi, i cui portantini erano soliti utilizzare “barelle” in luogo delle tradizionali “gerle” in uso presso gli altri Spedali fiorentini.

Come si vede, dunque, il soprannome dell’Oratorio deriva dalla sapida usanza fiorentina di affibbiare nomignoli caricaturali a persone e cose, a partire da una caratteristica evidente: basti pensare, ad esempio, alla Rotonda del Brunelleschi presso Santa Maria degli Angeli, detta il Castellaccio (perchè rimasta in rovina, prima del completamento, per centinaia di anni) o a San Filippo Neri, detto “Pippo Bono” (per le sue opere di carità).

Allo stesso modo, l’utilizzo innovativo di barelle composte da due lunghe stanghe di legno collegate da un pezzo di tela, per trasportare gli ammalati, giustifica il nomignolo di “Barelloni” affibbiato ai famigli dello spedale, che è poi rimasto appiccicato nei secoli all’Oratorio dei santi Filippo e Giacomo. Le due stanghe potevano essere collegate non solo dal caratteristico pezzo di stoffa delle comuni barelle, ma anche da un cubicolo di una certa profondità, nel qual caso di parlava di “cataletto”, che corrispondeva in effetti ad una specie di “ambulanza dell’epoca”.

Gerla per il trasporto dei malati e dei morti

Gerla per il trasporto di malati e morti in uso alla Arciconfraternita della Misericordia sin dal 13° secolo: viene soppiantata dalla più funzionale barella usata dai “Barelloni”

Fino ad allora, infatti, era invalso l’uso dei portantini dell’Arciconfraternita della Misericordia che, sin dal 13° secolo, trasportava malati e morti rannicchiati in capienti cestoni (detti appunto “gerle” o “zane”), ma questa tecnica di trasporto risultava scomoda e faticosa. I soccorritori della Misericordia erano aiutanti laici e portavano in testa il caratteristico cappuccio (detto “buffa”), calato fin sul viso, per non farsi riconoscere (in quanto l’azione caritatevole non era considerata veramente misericorde e gradita a Dio, se non scevra di ogni vanagloria).

L’innovativo utilizzo delle “barelle” al posto delle tradizionali gerle è rimasto anche nel parlato fiorentino sotto la specie di vocabolo derisorio: come spiega argutamente Pietro Fanfani nel suo Voci e maniere del parlar fiorentino, il termine barellòne si usava dire a Firenze di chi camminasse andando in qua e in là, come ubriaco, proprio perchè in tale atto assomigliava ai famosi portantini dell’Oratorio di San Filippo e Giacomo che, trasportando i malati in barella, ballavano da un piede all’altro per la fatica del peso.

Ecco però le precise parole della colorita prosa del Fanfani, che ci dà anche qualche ragguaglio in più su questa Compagnia dei Barelloni: “Quando si vede un briaco camminar barellando, in modo che tutta la strada è sua, suol dirsi: Egli è della Compagnia de’ Barelloni, con equivoco garbatissimo, perchè una tale compagnia c’era davvero a Firenze […]. Uno dei loro uffici era quello di portare a seppellire i morti; e come a ciò usavano le barelle, così quindi fu a loro dato il nome di barelloni. Chi porta la barella con molto peso sopra, suole ire quasi saltellando, e si dondola in qua e in là, e però si dice che barellano i briachi, perchè nel camminare vanno come chi porta la barella“.